Il nome Risk Management è utilizzato con molte accezioni e, a dire il vero, non ve n’è una che abbia il diritto di prevalere quale accezione ufficiale rispetto alle altre.
Molti confondono il Risk Management con la gestione ottimale del portafoglio assicurativo, altri con la prevenzione semplicemente applicata nel settore anti-incendio e anti-intrusione.
Senza pretendere di essere depositario del suo significato più autentico, io prediligo una accezione che si riferisca alla gestione del rischio nella sua completezza assoluta.
Le Compagnie Assicuratrici sono solite tenere al di fuori della competenza delle loro attività tutto ciò che attiene al rischio d’impresa, occupandosi invece di quei rischi che riguardano eventi dannosi che possono capitare accidentalmente nella vita di una persona o di una impresa, lasciando che del rischio d’impresa si occupi l’imprenditore. Alcuni commentano “Altrimenti quando gli affari gli vanno bene dovrebbero renderci partecipi dei loro utili, se noi partecipiamo al loro rischio di business”
Eticamente è una affermazione che non fa una piega, se non fosse che esistono degli intrecci indissolubili fra le due macro-categorie di rischi.
Se per RISCHIO intendiamo l’associazione di un interesse e di un evento che può comprometterlo, il cui accadimento non dipende dal soggetto pensante, possiamo affermare che l’incendio rappresenta un rischio nella misura in cui temiamo che possa distruggere o danneggiare dei beni di nostra proprietà.
L’esistenza di un interesse proprio è fondamentale nella definizione del rischio. Perché se ciò che un evento può danneggiare è qualcosa che non ci appartiene, questo non descrive un rischio, mentre se quella cosa ci appartenesse, lo descriverebbe a pieno titolo.
Questa affermazione suggerisce due principi fondamentali:
- che il RISCHIO è un concetto soggettivo
- che pur essendo il RISCHIO strettamente legato ad un concetto di probabilità, per avere un senso parlarne bisogna partire da una certezza: L’esistenza di un interesse proprio, suscettibile di subire pregiudizio.
Il passo successivo sono i danni conseguenti. Nell’assicurazione dell’incendio si parla di danni consequenziali, ma si tratta di un esempio assai limitativo di ciò che vogliamo intendere.
Si pensi ancora una volta ad un incendio che colpisca un reparto produttivo di una impresa manifatturiera. Il reparto produttivo si ferma in attesa delle riparazioni e/o delle sostituzioni necessarie a ripristinare la situazione normale.
Non producendo non si vende e può accadere che una parte più o meno importante della clientela non può permettersi di aspettare, perciò si rivolge alla concorrenza. A danno riparato non è assolutamente detto che la clientela emigrata torni ad essere clientela nostra. In altri termini, avremmo perso dei clienti.
Bisogna vedere quanti clienti si perdono in via definitiva e quanto importanti sono per il nostro business, ma in linea teorica la loro fuga può averci messi in difficoltà. Il conseguente calo di vendite, può determinare uno squilibrio fra le nuove entrate ridotte e dei costi di gestione che possono anche essere rimasti quelli di prima.
Anziché un utile potremmo registrare una perdita di esercizio. Può darsi che abbiamo la capacità imprenditoriale di riprenderci, ma bisogna vedere quanto incidono i fattori contingenti di mercato, l’aggressività della concorrenza ed anche la buona sorte.
Dovesse questa situazione protrarsi nei mesi, potremmo non essere più in grado di coprire con le entrate l’indebitamento a medio/breve fisiologico. Questo costringerebbe a ridurre l’attività e il personale potrebbe fuggire sentendo puzza di fallimento. Potrebbero diffondersi voci sulla futura chiusura della nostra attività. I clienti rimasti per precauzione potrebbero decidere di rivolgersi ad altri fornitori e noi dovremmo realmente chiudere.
Abbiamo narrato in modo descrittivo quello che tecnicamente si definisce una Catena Consequenziale, che partendo da un evento (l’incendio) che fa parte dei rischi assicurabili, ha portato attraverso una sequenza di eventi derivati a catena, a quel tipo di danno che tradizionalmente si fa appartenere al Rischio d’Impresa.
Le Catene consequenziali possono essere anche molto diverse, e partire da eventi di tutt’altro genere conducendo però sempre alla chiusura dell’attività.
Quello che possono fare le assicurazioni in questo scenario è ben poca cosa, ma se mancasse anche quel poco, il tracollo arriverebbe assai più rapidamente.
Quanto detto fa capire che è necessario assicurarsi e farlo bene, ma non basta.
Occorre una disciplina che insegni a prevenire i danni che possono originare catene consequenziali, e che insegni degli espedienti per arrestare le catene consequenziali anche dopo che sono partite.
La disciplina che tratta questi temi a 360 gradi è il Risk Management che intendo io e comprende Prevenzione e Assicurazioni, ma non si ferma a questo.
Naturalmente, così come non esiste il rischio zero, non è possibile azzerare un rischio esistente, ma lo si può ridurre notevolmente. E questa è un’ottima ragione per provarci.
Metterlo in pratica può comportare dei costi (anche se non in tutti i casi), ma la sicurezza che si acquisisce è un valore aggiunto molto più alto del costo della prevenzione sommato al costo delle assicurazioni.
Conoscere, mitigare e, ove possibile, trasferire è il terreno dove si confronteranno le migliori professionalità. Quello è il terreno di conquista.
Solo la formazione e la qualità rappresenteranno i plus per gli operatori del domani.
Alberto, è proprio così. Solo con un’analisi corretta dei rischi e di come limitarli o limitarne il danno economico, è possibile aiutare concretamente le persone e le aziende a proteggersi. Per riuscire in questo occorre acquisire competenze e quindi formarsi. Saranno proprio quelle competenze che permetteranno agli operatori di oggi e di domani di continuare ad essere il punto di riferimento di chi vuole seriamente proteggere ciò che gli sta più a cuore.