Perché mi occupo di finanza comportamentale: intervista a Patty Chada

Stefano Marotta intervista Patty Chada sulla finanza comportamentale

Chi è Patty Chada e perché si occupa di finanza comportamentale e di psicologia economica?

Patty Chada - Perché mi occupo di finanza comportamentale

Nata in Argentina e cittadina olandese. Dopo la prima laurea in Scienze dell’Educazione in Argentina, ottiene la sua seconda laurea in Olanda in Psicologia Economica, presso la Katolieke Universiteit Brabant, Economisce Psicologie, Tilburg, dove diventa docente. Partecipa a diversi progetti di ricerca con l’Università di Tilburg (Olanda), uno di questi con Amos Tversky e Daniel Kahneman , quest’ultimo vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’Economia nel 2002. 

Oltre all’ambito accademico (Cultore ufficiale della materia di Psicologia Economica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino), è iscritta all’Albo dei Promotori finanziari dal 1994 ed è consulente e formatrice, esperta internazionale in psicologia economica ed in particolare in psicologia del rischio, applicata principalmente al mondo assicurativo. È stata docente, tra l’altro, di corsi presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Il Sole 24 Ore, compagnie assicurative, istituti bancari, enti pubblici. 

Recentemente ospite come speaker dell’European Banking Federation a Bruxelles e presso l’Università Nacional de San Luis in Argentina. Ha moderato la tavola rotonda, con ospite d’onore  Richard Thaler,  Nobel per l’Economia 2017, durante l’edizione di PF Expo Gold, Milano 12 giugno 2019.

Il suo leit motiv  è stato sempre quello di creare ponti tra i saldi principi rilevati nel mondo scientifico (accademico) e la loro implementazione pratica. [CV short di Patty Chada]

Il motivo per cui ho cominciato ad occuparmi di finanza comportamentale e di psicologia economica nasce da un bisogno emerso quando sono arrivata in Italia e, da promotore finanziario, mi sono trovata davanti alla reazione dei miei clienti, in particolare alla loro non reazione e alla loro atavica modalità di risparmio, estremamente naif, basata fondamentalmente sull’accantonamento sul conto corrente e sull’investimento in immobili. Scelte che portano, in entrambi i casi, ad un profilo di risparmiatore estremamente estatico e quindi “rischioso” per la propria sopravvivenza in caso di accadimenti “catastrofali” anche sul fronte personale. Ovviamente, dal punto di vista dei risparmiatori, conti correnti e immobili rappresentavano la possibilità di reperire disponibilità in caso di bisogno ed è per questo che tuttora, a distanza di trent’anni, in Italia continua ad essere il leitmotiv dei risparmi. Ma cosa comportava per i risparmiatori questa immobilizzazione?  Una rinuncia per loro ai rendimenti, dovuta alla forte avversione al rischio finanziario, visto che queste disponibilità, se fossero state investite in strumenti più dinamici, senza la certezza dei rendimenti, (ovviamente) non potevano essere utilizzati in caso di crisi finanziaria; pertanto l’immobilizzazione implicava, di fatto, una rinuncia ai rendimenti.

Come conseguenza, mentre loro perdevano in termini di rendimento, io in quanto promotore finanziario, perdevo perché non avevo accesso a quei risparmi. Bisognava quindi indagare il vero motivo che impediva alle persone di investire in strumenti a rendimento più alto, ovvero il motivo sottostante legato all’azzeramento della variabile tempo.

L’imprevisto, per definizione, rappresenta l’azzeramento della variabile tempo, che è una delle tre componenti della triade degli investimenti: tempo, rendimento, rischio finanziario.

Il fatto che la gestione degli imprevisti sia fortemente legata alla natura intrinseca degli strumenti assicurativi ha destato in me una forte curiosità e mi ha portato ad approfondire questo argomento, facendomi scoprire che non vi è, in realtà, un problema legato all’avversione al rischio, ma un blocco fortemente legato all’avversione alla perdita. Fu proprio allora che il caro ex collega, diventato poi nel 2002 Nobel insieme a Tversky, ( mi riferisco alla  prospect Theory di  Kahneman), mi diede le basi per analizzare e scoprire il mondo assicurativo in generale. Un mondo assicurativo ancora sconosciuto (sotto il profilo della indagine del rischio) ed estremamente sottovalutato in Italia, per vari motivi legati ad aspetti culturali (erroneamente la cultura assicurativa è considerata ancella della cultura finanziaria), pregiudizi, vecchie mentalità, pratiche obsolete.

In che modo la conoscenza della finanza comportamentale, della psicologia economica e dei bias cognitivi più comuni, rispetto alla percezione del rischio, può aiutare un assicuratore, inteso come intermediario, a comprendere il comportamento delle persone rispetto a percezione e gestione del rischio?

Oramai, anche grazie alla grande mole di dati resa disponibile dalle tecnologie digitali, la Psicologia Economica e soprattutto  la Finanza Comportamentale permettono di conoscere e comprendere le caratteristiche dei decisori dei risparmiatori/investitori (quelle che quando si parla di decisione sono poste nell’anticamera del comportamento e anche del non comportamento o inazione, perché come spesso dico, non scegliere equivale a scegliere senza essere consapevoli delle conseguenze delle nuove scelte e siamo per natura molto più propensi  a valutare le conseguenze delle scelte che facciamo) e quindi anche i processi decisionali che sottostanno alle scelte in campo economico, assicurativo e finanziario, quelli che vengono chiamati a mio avviso in modo erroneo e fuorviante bias siano essi cognitivi o emotivi. In realtà come ribadivo, fra l’altro, a colleghi accademici ed allo stesso Richard Thaler, non so per quale motivo continuiamo a chiamarli bias, come se fossero degli scostamenti rispetto a un benchmark di riferimento estremamente razionale, che è quello dell’homo oeconomicus, che abbiamo ben dimostrato essere inesistente.

Grazie alla ricerca economica degli ultimi anni, possiamo disporre di numerosi macro frame di riferimento.

I numerosi studi sulla natura umana in contesti di incertezza (e la vita umana da sempre si svolge in tali contesti, pensiamo solo a quello che sta accadendo ora nel mondo intero ed ai rischi clima, guerra, energia e cyber, per citarne solamente alcuni) ci permettono di avere un quadro abbastanza chiaro delle scelte in tale situazione, che ormai permea la vita di tutti noi. 

In tale contesto generale di incertezza che, come dicevamo poc’anzi permea le nostre vite, è proprio il mondo assicurativo quello in grado di fornire alle persone disponibilità finanziarie e, più in generale, risorse.  Anzi, il mondo assicurativo, in molti casi, è l’unico in grado di fornire queste utili risorse, a volte indispensabili.

In via teorica definiamo ancora questo processo come trasferimento del rischio, ma io affermo che in realtà il rischio non è trasferibile.

I rischi non sono trasferibili. Solo a livello attuariale (la tecnica matematico-statistica che calcola i premi delle polizze assicurative, ndr.) si può parlare di probabilità, nel senso di accadimento di un evento, e  calcolare l’entità definitiva del premio. Per l’essere umano, però, quello che conta è la gestione delle conseguenze di imprevisti, che si quantificano in perdite, ed  è proprio quello che ci  fornisce lo strumento assicurativo.

Ne deriva che la non scelta di assicurarsi può essere assolutamente attenuata (o la scelta di assicurarsi, in modo simmetrico, incrementata) grazie alla conoscenza degli schemi decisionali che abbiamo acquisito con la psicologia economica e, in particolare, con la psicologia assicurativa, da me sviluppata negli ultimi anni, che ci permettono di agevolare la persona, non certo di manipolarla.

Noi intendiamo equipaggiare le persone con strumenti che permettano loro di conoscere meglio se stessi e, se mi consente, di aumentare il loro livello di benessere e quindi di felicità. 

Nella nostra attività di formatori, spesso  parliamo di peccati per omissione in tutti i casi, e sono frequenti, in cui non analizziamo in modo approfondito ed esaustivo i bisogni del nostro prospect, dimenticandoci che spesso il cliente stesso non è capace di discernere e differenziare e far emergere i suoi propri reali bisogni. Ciò è probabilmente dovuto alla complessità dei contesti e all’eccesso di informazioni (information overload, una delle principali cause di disturbo del nostro sistema sociale, ndr.).

Proprio il mondo assicurativo, che si prefigge di fornire risorse più che mai indispensabili nell’attuale contesto di crisi generalizzata, non può assolutamente consentirsi la superficialità o il lusso di prescindere da questi elementi o conoscenze che ci forniscono la psicologia assicurativa e la sua madre, la psicologia economica.

Di quali strumenti si deve dotare un assicuratore che voglia rendere più consapevole una persona dei rischi personali e professionali a cui è esposto? Nel nostro paese vi è una formazione adeguata sugli strumenti del neuromarketing, della finanza comportamentale e della psicologia assicurativa, intesa come branca della psicologia economica? 

Diciamo che la conoscenza tecnica è una condizione necessaria, ma lontana dall’essere sufficiente.

Per  poter diventare un vero educatore e guida del cliente verso la soluzione migliore (non che sia cioè la soluzione ottimale) sarebbe meglio capire tutti questi meccanismi sottostanti. 

Per poter gestire e guidare il cliente verso la soluzione ottimale sono assolutamente essenziali anche gli insight del neuromarketing e della neuroeconomia in senso più ampio; negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo delle tecnologie di analisi del funzionamento del cervello umano, è stato possibile identificare, ad esempio, diversi centri neurologici, quali il centro del dolore, e quindi, come dicevamo poc’anzi, è stato possibile studiare la correlazione che c’è tra l’attivazione del centro del dolore e i comportamenti legati alla sopravvivenza in contesti di incertezza. 

In generale  direi che la conoscenza su questi argomenti completerebbe ed agevolerebbe molto il ruolo del consulente, peccato che in Italia siamo abbastanza indietro rispetto all’utilizzo di tali tecniche applicate al settore della consulenza assicurativa.

Parlo in generale del mondo occidentale europeo e del nord america, anche se devo riconoscere che negli ultimi anni parecchi sforzi sono stati fatti in questa direzione. Quando io lavoravo all’università e in Olanda su questi argomenti, eravamo considerati praticamente figli di un Dio minore. Per fortuna grandissimi passi si sono compiuti, anche se ovviamente c’è ancora molto da fare. 

I principi della spinta gentile teorizzata da Richard H. Thaler di cui lei è promotrice, in che modo possono essere applicati alla consulenza assicurativa e come possono aiutare l’assicuratore a portare più persone a gestire il rischio assicurandosi? In particolare tenendo conto del fatto che il nostro paese è ancora molto sotto assicurato, anche su salute, abitazione, vita rispetto a paesi come Francia, Germania, UK.

Come abbiamo affermato in precedenza, l’essere umano mostra una naturale resistenza al cambiamento ed una tendenza a permanere nello status quo bias.

Sicuramente vi è un enorme campo di applicazione della spinta gentile teorizzata da Richard Thaler che  al momento stiamo implementando in particolare nel mondo assicurativo. 

Il nudging, in senso lato, e il nudging assicurativo, in particolare, trattano del problema della non-scelta. Come già affermato in precedenza, possiamo dire che lo status quo bias è lo stato naturale dell’essere umano. 

Facciamo l’esempio di quanto accade nel mondo finanziario: la finanza comportamentale e la psicologia economica hanno dimostrato, con ampia evidenza empirica, che i mancati guadagni non vengono percepiti come una perdita e quindi non soffriamo particolarmente della mancanza degli stessi.

Al contrario di quanto accade nel mondo finanziario, nel mondo assicurativo la non-scelta – ciò che io chiamo peccati per omissione – può avere delle conseguenze devastanti sulle vite delle persone che si astengono dal fare scelte, ovvero che fanno la non-scelta di non “investire” in polizze assicurative.

Di conseguenza, il ruolo dell’intermediario assicurativo dovrebbe essere non solo quello di guidare il cliente ed educarlo verso una maggior consapevolezza delle proprie scelte, ma, ancor prima di raggiungere  questo livello di conoscenza, dovrebbe mettere al sicuro il proprio cliente creando delle alternative di scelta che siano agevoli, che descrivono nel modo più semplice le conseguenze dei rischi, attraverso il maggior numero possibile di esempi semplici e descrittivi. 

Mi piace ripetere che tante volte è meglio che il cliente esca da un’agenzia con meno soldi in tasca – quelli che ha utilizzato per acquistare una copertura assicurativa – ma con una disponibilità economica in più. Un disponibilità economica, la cui assenza potrebbe addirittura cambiare la sua esistenza, qualora si verificasse un evento infausto per il quale non avesse disponibilità sufficiente ovvero fosse costretto ad  intaccare i risparmi, che con tanta fatica ha accantonato.

Quali sono gli errori tipici che oggi fanno i consulenti assicurativi nel relazionarsi con i clienti? Quanto tengono conto della domanda reale di protection e quanto dei diktat di Compagnia? 

L’errore più comune è legato a un condizionamento culturale molto presente nel mercato italiano, ma non solo. Partire dalle caratteristiche del prodotto fa sì che, in realtà, ciò che dovrebbe far parte della soluzione diventi un problema, ovvero che la soluzione proposta venga percepita come tale.

Questo fatto ovviamente riguarda qualsiasi tipo di protezione assicurativa, dalla previdenza integrativa alle polizze danni.

L’unica certezza che possiamo avere è che alcune coperture assicurative, proposte senza guardare prima ai bisogni del cliente, non sono necessarie. Utilizzando il metodo della confutazione per esclusione, partendo, cioè, da giuste verifiche, possiamo anche arrivare a dimostrare che i clienti in esame non hanno bisogno di incrementare o completare o arricchire le proprie tutele assicurative. 

Tuttavia, è un dato di fatto che le Compagnie, essendo società per azioni con un ruolo ben preciso nel mondo finanziario, siano orientate al raggiungimento di traguardi commerciali, anche di semplice incremento della propria raccolta premi, e tendano a raggiungere i loro obiettivi, anche quando ciò va a scapito dei veri bisogni dei clienti.

Il nostro lavoro, in quanto formatori e consulenti, è quello di guidare l’intermediario finale, ovvero colui che in realtà fa la vera consulenza al cliente, ad una migliore conoscenza del cliente stesso, dimostrando che fare una accurata analisi, insieme al cliente, porta dei vantaggi ad entrambi e quindi anche alla Compagnia.

Il problema vero, legato alla modalità di stabilire traguardi di produzione, crea quello che chiamo una schizofrenia forte fra gli obiettivi della Compagnia e quelli del cliente. Il cross selling e l’up selling dovrebbero rappresentare un’attività naturale della “consulenza permanente”, che richiede una verifica della situazione specifica del cliente nel tempo, in un’ottica di rapporto di lunga durata. 

Grazie alla sua importante carriera professionale, cosa ha appreso Patty Chada del mondo assicurativo?

Ho appreso che è un mondo estremamente sottovalutato, soprattutto in Italia, di conseguenza la percezione che si ha di questo mondo è totalmente distorta.

Alle mie aule di formazione chiedo sempre:  quali sono le alternative per reperire disponibilità economiche in caso di perdita?

Se non ci facciamo questa domanda, come possiamo evitare che la naturale avversione alla perdita, insita nella natura umana, blocchi qualsiasi tipo di incentivo allo sviluppo e all’evoluzione e, di conseguenza,  blocchi lo sviluppo economico?

Sicuramente i rischi oggettivi non possono mai essere trasferiti in quanto tali – come ho affermato in precedenza – ma possiamo trasferire le loro conseguenze e acquisire, così, la certezza di avere dei buffer o materassi di disponibilità finanziaria, che è il modo più efficace ed efficiente per gestire la conseguenza dei rischi finanziari e non solo, visto che esistono anche forme assicurative di assistenza alla persona. 

In questo ultimo caso gli strumenti basati sul principio  di mutualità assumono particolare importanza nell’attuale contesto di crisi ed incertezza.

Quest’ultimo argomento è molto conosciuto e ben interiorizzato dalle culture nordiche protestanti che, in realtà, hanno capito che la modalità più efficace ed efficiente per contenere l’avversione alla perdita e, quindi, agevolare la propensione al rischio imprenditoriale, per esempio, può essere raggiunta solo con una gestione oggettiva – e rassicurante per il singolo individuo – di questa possibile perdita tramite strumenti basati sulla mutualità. Sarebbe quello che nei miei percorsi definisco ottimizzazione di risorse.

L’Italia è stabilmente al secondo posto nella classifica mondiale della salute (Bloomberg Global Health Index), ma al ventottesimo in quella della pubblica felicità (World Database of Happiness) . Come può la spinta gentile contribuire a migliorare il welfare ed il benessere dei cittadini? 

La sostanziale differenza fra welfare e wellbeing, ampiamente studiata soprattutto negli ultimi decenni, dimostra che probabilmente una migliore allocazione delle risorse o dei risparmi degli italiani, che contempli strumenti mirati alla gestione della perdita potrebbe, dico potrebbe,  rappresentare una forma ulteriore di certezza psicofisica e quindi di un maggior benessere emotivo.

È importante sottolineare che i parametri che misurano il wellbeing sono molto vasti, ma sono certa che  una migliore gestione delle proprie risorse, che contengano soprattutto la gestione della perdita, risulterebbe in un maggior benessere individuale e collettivo.

Insieme al Giappone, l’Italia è risaputamente il paese più esposto al rischio longevità. Con quali specifici strumenti può attrezzarsi   l’offerta assicurativa e finanziaria dei prossimi anni per fronteggiare questo rischio? 

Parlare di finanza comportamentale potrebbe essere riduttivo rispetto alla portata “epocale” del fenomeno. Dovremmo quindi prendere atto dell’importanza centrale della Psicologia ed Educazione Economica, quali discipline da adottare, in modo diffuso e massivo, per suscitare consapevolezza rispetto ad eventi che potrebbero verificarsi da qui a trent’anni, ovvero anche nel lunghissimo termine.

L’implementazione della finanza comportamentale, a mio avviso, è un termine estremamente riduttivo.

Partendo dai  principi della psicologia economica nell’educare anche i popoli,  incominciando dalla socializzazione economica nelle scuole nelle famiglie, cominceremo ad avere una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, per poter far fronte a questa tipologia di rischio o di certezza.

Credo che i principi del nudging o del paternalismo libertario, introdotto da Thaler ed sperimentato in paesi come il Regno Unito, possano essere un esempio da imitare da parte delle istituzioni italiane.

Il contesto pandemico e la guerra impongono ragionamenti assolutamente nuovi nella vendita, con tattiche ninja più veloci e smart: guerriglia marketing, combat marketing

Onestamente le tecniche del marketing, così come descritte nella domanda, sembra mirino ad un traguardo indipendentemente dai mezzi utilizzati. Queste modalità machiavelliche per raggiungere dei traguardi sono lontane dai miei principi, anche perché credo non siano assolutamente necessarie.

Il contesto pandemico e la guerra in corso, la conseguenza devastante dell’inflazione e la caduta di tante economie richiedono un’urgente revisione dei sistemi sociali.

La cooperazione fra il privato e il pubblico è fondamentale ed è urgente. Lo ripeto, non c’è tempo da perdere, punto. Bisogna mettere in moto delle azioni coordinate comuni che tendano ad ottimizzare le risorse in essere per il benessere di tutti, perché un’economia ha contemporaneamente bisogno di domanda e di offerta, quindi non si vince da soli, ma è etico ed auspicabile un comportamento win-win.


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Informazioni su Stefano Marotta

Stefano Marotta opera nel settore assicurativo dal 1995. Provenendo dal settore delle ricerche di marketing e della consulenza di direzione, ha sempre concepito la sua professione come consulenza e servizio, cercando per i suoi clienti soluzioni personalizzate ed innovative, studiate di volta in volta sulla base di specifiche esigenze e bisogni. Ne tempo ha perfezionando la sua formazione, in campo giuridico, finanziario, commerciale ed ha consolidato le esperienze nei rami elementari e vita, con specializzazione nel campo della previdenza complementare e dell'assistenza sanitaria integrativa.
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