Il rischio biometrico (morte, invalidità permanente e longevità) è uno dei rischi per cui gli Italiani si assicurano poco. Questo è quanto emerge da una ricerca condotta da Elipslife e Prometia, secondo cui, a fronte di un bisogno di protezione complessivo di circa 10.000 miliardi di euro, soltanto 1.800 miliardi di euro sono coperti (1.500 miliardi dal sistema di welfare pubblico e 300 miliardi da assicurazioni private), mentre rimangono senza alcun tipo di copertura 8.200 miliardi di euro dei 10.000 miliardi che si prevede siano necessari per tutelare la popolazione italiana dal rischio biometrico.
Allo stesso tempo, i dati del Libro Blu pubblicato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e riportati da Il Giornale, ci dicono che nel 2017 gli Italiani hanno investito ben 101,753 miliardi di Euro nei giochi d’azzardo legali in Italia, con un investimento procapite che si attesta sui 1.700 Euro all’anno ed una perdita, al netto delle vincite, di 313 Euro annui.
Quanto costa assicurarsi contro il rischio biometrico rispetto al gioco d’azzardo?
Assicurarsi contro il rischio biometrico costa poco anche quando costa tanto, se pensiamo al rapporto tra premio e indennizzo.
Secondo lo studio di Elipslife e Prometia, ad un lavoratore di 40 anni bastano 300 Euro di premio annuo, cioè meno di 1 Euro al giorno, versati in una polizza collettiva, per garantire ai propri familiari un indennizzo fino a 300mila Euro in caso di morte prematura, ossia l’equivalente di 30.000 Euro di reddito per 10 anni.
Eppure, anche se un 40enne che guadagna 30.000 euro all’anno, in caso di premorienza, può assicurare 10 anni di autonomia alla sua famiglia spendendo meno di un caffè al giorno, stando alle indagini Elipselife e Prometia e ai dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, è molto più probabile che quel 40enne quell’euro preferisca investirlo ogni giorno in un gratta&vinci anziché in una polizza caso morte.
Altrimenti la raccolta annua di premi per la copertura del rischio biometrico non ammonterebbe solo a 4,8 miliardi di euro, contro i 101,753 miliardi raccolti dal gioco d’azzardo.
Razionalmente questi dati ci sembrano assurdi, soprattutto quando le persone affermano di non avere abbastanza soldi per assicurarsi e poi le vediamo spendere somme nettamente superiori al costo di una polizza per beni che a noi sembrano secondari o, addirittura, li vediamo tentare la sorte ogni giorno con il gratta&vinci e altri giochi.
E se provassimo a guardare le cose dal punto di vista di chi non ha i soldi per assicurarsi, però li ha per il gioco d’azzardo o altri beni?
Investire nel gioco confidando nella fortuna batte investire in assicurazioni in previsione della iella
I dati ci dicono che il mondo del gioco d’azzardo legale raccoglie il 2119% in più del comparto assicurativo legato al rischio biometrico.
Con questi dati alla mano è fin troppo facile concludere che, quando un cliente ci dice di non avere abbastanza soldi per assicurarsi, quasi sempre mente sapendo di mentire.
Cosa ci sta dicendo in realtà un cliente, quando ci dice di non avere abbastanza soldi? Che non sente il bisogno di assicurarsi? Che assicurarsi costa troppo rispetto al valore che lui gli attribuisce? Che vuole assicurarsi ma non vuole farlo con noi? O ci sta dicendo semplicemente la verità e davvero non ha i soldi?
Il cliente non ha la corretta percezione del rischio biometrico, per questo non sente il bisogno di assicurarsi
Ipotizziamo che il cliente non senta il bisogno di assicurarsi e usi la scusa di non avere soldi per evitare di farsi coinvolgere in un acquisto che non reputa necessario.
Cosa possiamo fare noi assicuratori per rendere più consapevoli le persone dei rischi che corrono e della scopertura a cui vanno incontro se vivono a lungo senza un reddito adeguato o se smettono di produrre reddito a causa di una invalità grave o, peggio ancora di una morte prematura?
So bene che la prima reazione sarebbe di indignarsi per la superficialità con cui le persone mettono a repentaglio la propria sicurezza economica e quella dei familiari. Ma difficilmente con la nostra indignazione riusciremmo a far cambiare idea a chi si concede, ogni giorno o ogni settimana, la possibilità di sognare giocando la schedina, comprando un gratta&vinci o giocando ad una slot machine e dice di non avere (e magari non li ha davvero) i soldi per proteggersi in modo adeguato.
Se indignarsi non serve, noi intermediari cosa possiamo fare per riuscire a far nascere nelle persone un bisogno di protezione tale da spingerli ad investire una parte del loro reddito in sicurezza anziché nell’illusione di una svolta che non arriva?
Perché la percezione del rischio aumenti, dobbiamo essere capaci di aiutare le persone a prendere pienamente coscienza dei rischi che corrono e di quali potrebbero essere le conseguenze economiche a cui andrebbero incontro se quei rischi si trasformassero in danni.
Senza la piena coscienza di avere un problema nessuno di noi si preoccupa di trovare una soluzione.
Tutti noi sappiamo di essere mortali e che si può morire in ogni momento, ma pochi di noi si soffermano davvero a riflettere a quali conseguenze andrebbero incontro i loro familiari se dovessero morire prematuramente.
Allo stesso modo tutti sappiamo che non potremo contare su una pensione adeguata quando saremo anziani e che la situazione sarebbe ancora più grave se, invecchiando, perdessimo la nostra autosufficienza, eppure pochi di noi riflettono sui disagi economici a cui potrebbero andare incontro.
E quanti, quando ci riflettono, si bloccano davanti all’idea di rinunciare oggi ad una parte, magari anche consistente, di entrate per garantirsi domani qualcosa che, nel loro immaginario, è ancora tanto lontana?
Per aiutare le persone a percepire in modo adeguato il rischio biometrio, come prima cosa bisogna imparare a guardare la vita con i loro occhi
Se vogliamo aiutare le persone a cambiare la loro percezione del rischio biometrico e quindi a cambiare la loro scala delle priorità, dobbiamo provare a metterci nei loro panni e a ragionare con la loro testa.
In che modo? Facendo domande per capire quali sono le loro convinzioni, le loro paure, i loro sogni, le cose più care, le persone più care e cosa li preoccupa quando pensano a loro o cosa vorrebbero per loro.
Se lo facessimo, magari, potremmo comprendere perché, in una situazione in cui tutto è precario, la remota speranza che pochi euro possano bastare a cambiare la vita è più forte della fatica di rinunciare a quegli stessi soldi per proteggere se stessi e la propria famiglia e potremmo aiutarli a guardare la loro vita da un altro punto di vista. Un punto di vista in cui costruire sicurezza viene prima di vivere nella precarietà e col fiato del rischio sul collo.
Potremmo anche comprendere perché si può essere bloccati dalla paura che quei soldi possano rivelarsi spesi invano, visto che alla fine può non accadere nulla o può accade proprio quella cosa per cui non si è comunque coperti o, addirittura, può accadere quando non siamo più coperti, visto che tante polizze sui rischi biometrici non sono a vita intera.
Rischio biometrico e welfare aziendale, il 97% dei lavoratori non è coperto da polizze collettive contro il rischio biometrico
Portare le persone ad avere una corretta percezione del rischio biometrico ha come conseguenza che non solo le persone sono più propense ad assicurarsi, ma sono anche più propense a coinvolgere le aziende per vreare piani di welfare, di tipo assicurativo, che prevedano coperture caso morte, infortuni, malattia e assistenza.
Ad oggi, sempre stando ai dati di Elipslife e Prometia, il 97% dei 23 milioni circa di lavoratori in Italia non è coperto da polizze collettive adeguate per il rischio decesso e si c’è ancora meno attenzione verso il rischio di infortuni, invalidità permanente e perdita di autosufficienza.
Considerato che il verificarsi di un grave infortunio o di una malattia invalidante, durante il percorso lavorativo di una persona, risulta sempre più probabile di una vincita al lotto, e che gli effetti, se il rischio non è stato coperto in modo adeguato, risultano devastanti, nel lungo periodo, sia per chi rimane che per la collettività, chiamata a sostenere previdenza, sanità e assistenza sociale attraverso il pagamento di imposte indirette, appare evidente quanto sia importante educare alla corretta percezione del rischio.
In particolare lo è verso i lavoratori più giovani e più a basso reddito, quelli che non hanno accesso ad alcuna forma di contrattazione collettiva previdenziale e verso quei 23 milioni di lavoratori italiani che, a quanto pare, ripongono speranze di uno stile di vita migliore e di assicurarsi le risorse necessarie investendo nel gioco anziché in una polizza.
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